Frutto prezioso di storie e tradizioni, talmente unico da rendere l’imitazione inutile. Dall’inizio, o fine, della catena delle Alpi: il Castelmagno

Si sa che il Castelmagno è un formaggio antico, quasi quanto il Gorgonzola, infatti se ne parla già in una sentenza del 1277 dove viene usato come forma di pagamento al marchese di Saluzzo.

La leggenda che ci piace però è quella di Carlo Magno: famoso fu il suo tentativo a un banchetto di rimuovere la venatura bluastra al formaggio. Per questo fu ripreso dal vescovo di Saluzzo che lo accusò di rinunciare alla parte migliore, e da lì nacque l’amore.

Miti a parte, il Castelmagno è veramente un formaggio unico: prodotto a latte vaccino crudo, eventualmente addizionato di una parte variabile di latte di pecora o capra mai superiore al 20%, è frutto dell’unione di due mungiture, una delle quali semiscremata.

Una volta preparata la cagliata, rotta alla grandezza di una nocciola e fatta sostare nel siero per 30 minuti, viene separata dal siero e lasciata in teli per almeno 24 ore.

Questo processo, oltre ad aiutare lo spurgo, ne influenza l’acidità. In seguito la cagliata viene tagliata e reimmersa nel siero in vasche d’acciaio per 2/3 giorni.

A questo punto viene frugata, ossia tritata, poi salata e infine posta in fascere di plastica e pressata.

Da qui inizia la stagionatura in grotte di tufo e possiamo trovare una prima identificazione: fresco per stagionature a 60 giorni, stagionato per i 4 mesi

L’alpeggio è tutta un’altra storia. Il formaggio viene prodotto solamente da maggio a ottobre quasi a 2000 metri di altitudine, con una stagionatura minima di quattro mesi. Solo questa selezione è Presìdio Slow Food.

Ed ecco quindi un’altra classificazione per il Castelmagno, che se avrà l’etichetta verde sarà una produzione di alpeggio, mentre se l’etichetta è blu viene definito di montagna.

Perchè allora alpeggio perenne? Il caso è abbastanza unico.

Di solito quando si parla di alpeggi ci si immagina un ciclo naturale per cui d’inverno l’allevamento vive in valle e solo d’estate la transumanza porta le vacche in alpe, creando quindi una sostanziale differenza nell’immaginazione del pascolo e nella vita dell’animale.

Col Castelmagno è vero sì che l’alpeggio si trova quasi a 2000 metri, ma la produzione d’inverno ha comunque luogo a un altitudine di circa 1000, infatti viene denominata di montagna

Insomma, queste vacche la valle non la vedono mai. Destinate alla fatica e al pascolo buono, come i loro padroni, destinati al sudore e alla gloria, per un formaggio eterno.

Nel bicchiere
Si chiamano a vicenda, quasi come se non riuscissero a separarsi. Si tratta di vino rosso e Castelmagno. Da buon toscano non potevo che chiudere gli abbinamenti con un buon rosso corposo che dia filo da torcere ai gusti erbacei ed erborinati del Castelmagno. Non vi darò un’unica scelta, ma vi dirò che la stagionatura del formaggio definirà la proposta del vino. Freschi e floreali per l’etichetta blu, persistenti e intensi per l’etichetta verde. Ma se proprio vi va di osare, osate un passito di Pantelleria

Nel piatto
Il Castelmagno di alpeggio è un formaggio decisamente profumato, leggermente sapido al palato, con spiccate note erbacee e floreali che si addolciscono e si mescolano a note di sottobosco quando si incontra la rara e preziosa erborinatura. Tenendo conto di queste caratteristiche organolettiche, sempre con la stagionalità come bussola, ho scelto di abbinarlo alla zucca. Cuocendo dei rettangoli di zucca li ho sovrapposti, aggiungendo fra gli strati della cipolla leggermente caramellata al rosmarino, fette di guanciale croccante e fonduta di Castelmagno di alpeggio con l’erborinatura sbriciolata sull’ultimo strato

Dal campo
A chi piace vivere nelle sicurezze e vede nel rischio solo paure e perdite posso consigliare il classico abbinamento col miele di Tiglio, affidabile, buono e sempre quello.Se invece avete il coraggio di provare e scoprire, perchè questo sono gli abbinamenti, scoperte che diventano certezze, vi suggerisco di assaggiarlo in questa stagione insieme al caco. Le sue note dolci e consistenze quasi cremose si sposano benissimo con la salinità e friabilità del Castelmagno

Un consiglio in più
Ovviamente le forme migliori sono quelle prodotte d’estate in alpeggio, benché la lavorazione si effettui durante tutto l’anno. La tendenza attuale è di consumarlo fresco, appena sviluppa una tipica consistenza granulosa e poco compatta.
È da disapprovare. Questo formaggio sviluppa pienamente il suo sapore dopo alcuni mesi di stagionatura, durante i quali si può creare un’eccellente erborinatura spontanea
Castelmagno

Matteo De Santi
Export Manager