Conservanti

Leggendo il titolo di questo articolo potremmo chiederci: “Se la caseificazione è un metodo per conservare il latte per quale motivo devono essere aggiunti conservanti al formaggio?”

Gli alimenti freschi per loro natura sono soggetti ad alterazioni chimiche e fisiche, se non vengono adeguatamente conservati. L’uomo ha sempre cercato di contrastare questo deterioramento con processi come la cottura, la salagione, l’essicamento, l’affumicatura e altri metodi di conservazione.

Grazie allo studio di molti scienziati fra i quali Pasteur, a partire dal XIX secolo sono stati fatti molti passi in avanti nell’industria alimentare, aspetto necessario in un periodo in cui aumentavano le distanze fra “luogo di produzione” e “luogo di consumo” degli alimenti.

Contaminazione del latte e pastorizzazione

L’alterazione degli alimenti è causata da fattori biologici e fisici, spesso in relazione fra loro.

Le cause biologiche sono legate ai microorganismi e agli enzimi presenti nell’alimento stesso, quelle chimico-fisiche invece sono scatenate dal contatto con l’ossigeno, la luce, il calore, l’umidità...

Nel settore caseario le fonti di contaminazione sono molte, il latte può arrivare in caseificio già contaminato, potrebbe contaminarsi alla stalla, nel mezzo di trasporto, nel caseificio stesso: per questo curare la pulizia in tutte le fasi è essenziale.

Oltre alla pulizia è fondamentale il controllo della temperatura: il latte, soprattutto quando viene raccolto il giorno successivo alla mungitura, deve essere immediatamente raffreddato in modo da bloccare lo sviluppo dei microrganismi presenti.

Maggiore è la distanza fra la stalla e il caseificio maggiore sarà il tempo di “conservazione” del latte e quindi il rischio di contaminazione.

Caseifici che raccolgono grandi quantità di latte devono ovviamente fare i conti con lunghi tempi di trasporto e latte proveniente da stalle diverse ognuna con la propria alimentazione e differenti condizioni igieniche. A queste condizioni per poter ottenere un prodotto sicuro è necessario sanificarlo con la pastorizzazione, a volte però potrebbe non bastare.

Alimentazione delle bovine e formazione di microrganismi dannosi (clostridi)

La pastorizzazione abbatte buona parte dei microrganismi “dannosi”, ad esempio Salmonella, Listeria, Escherichia Coli, ma quando le condizioni ambientali sono sfavorevoli alcuni microrganismi come quelli appartenenti al genere Clostridium producono spore (una specie di capsule prottettive) che sopravvivono per anni.

Queste spore resistono all’apparato digerente delle bovine, alla pastorizzazione e ai comuni disinfettanti e quando le condizioni tornano ad essere favorevoli esse germinano e i microrganismi iniziano a riprodursi in assenza di ossigeno.

Questi microrganismi si nutrono di zuccheri (lattosio) o aminoacidi a seconda della specie e producono gas, generando gonfiori anomali che nel primo caso (quelli generati da microrganismi che si nutrono di zuccheri) si chiamano “precoci”, mentre nel secondo caso (quelli generati da microrganismi che si nutrono di aminoacidi) sono “tardivi” e possono presentarsi anche dopo 12 mesi di stagionatura. Ai difetti legati all’aspetto si aggiungono quelli organolettici (odori e sapori sgradevoli).

Come abbiamo già detto l’alimentazione delle bovine gioca un ruolo fondamentale nella composizione del latte, lo stesso vale per le caratteristiche microbiologiche.

Alimentare le vacche con gli insilati (foraggi fermentati conservati in assenza di aria) rappresenta la principale causa della presenza di clostridi nel latte: mentre con l’alimentazione tradizionale (a base di erba o fieno) si trovano meno di 200 spore di clostridi per litro, con quella a base di insilati se ne possono trovare più di 2000.

Gli insilati vengono comunque utilizzati perchè consentono l’abbattimento dei costi della “razione”. L’unifeed ovvero “piatto unico” permette di somministrare in una sola volta tutti i componenti della dieta mescolati tra loro, con un notevole risparmio di tempo. Vengono utilizzati grandi carri miscelatori che prelevano l’insilato dai silos, aggiungono i foraggi e li mescolano a mangimi ed altre materie prime anche liquide. Il contro è che con questo sistema la polvere e la terra che contaminano i foraggi finiscono nella miscela e la presenza di acqua, amidi e zuccheri favorisce lo sviluppo dei clostridi. Le vacche ingeriscono così le spore che si ritrovano nelle feci e nel liquame che, sparsi come concime organico, riportano le spore al terreno, i clostridi proliferano e il ciclo ricomincia. Scarse condizioni igieniche alla stalla portano inevitabilmente ad avere quantità elevate di microrganismi e spore.

L’eventuale presenza delle spore nel latte può essere ridotta, per le tecnologie che lo prevedono,  tramite l’affioramento della panna, ma se le spore sono presenti in numero molto elevato non è sufficiente.

Durante la caseificazione l’utilizzo di un buon sieroinnesto, una corretta cottura e asciugatura della cagliata (operazioni che portano ad una rapida ed ottimale acidificazione) possono in parte impedire lo sviluppo delle spore, ma a volte è necessario ricorrere all’utilizzo di un additivo, il lisozima.

E1105 - Lisozima

Il Lisozima, descritto per la prima volta nel 1922 da Alexander Fleming, è una sostanza di natura proteica presente nelle secrezioni biologiche (saliva, lacrime, muco nasale, latte ecc.) e nelle uova di gallina (l’albume ne contiene grandi quantità) che ha una forte azione battericida, non a caso viene abbondantemente secreto nelle regioni corporee maggiormente esposte al contatto con patogeni (es. cavo orale).

Attacca alcuni tipi di batteri, come Clostridium tyrobutyricum (responsabile del gonfiore tardivo), distruggendone la parete cellulare.

Nell’industria alimentare il Lisozima viene identificato con la sigla E1105, generalmente ottenuto dall’albume d’uovo e rientra nella categoria dei conservanti.

Il Lisozima quindi quando viene aggiunto al latte destinato alla produzione di formaggi stagionati per impedire lo sviluppo dei Clostridi ed evitare possibili “gonfiori tardivi”. Deve sempre essere dichiarato in etichetta, sia perchè è aggiunto come additivo, sia perchè essendo ottenuto dalle uova potrebbe dare luogo a fenomeni allergici.

Oltre al Lisozima vengono utilizzati altri conservanti, come la Natamicina (E235) e l’Acido Sorbico (E200), che vengono aggiunti ai formaggi per la conservazione della superficie. 

E235 - Natamicina (o Pimaricina)

 La Natamicina (o Pimaricina E235) è un antibiotico antimicotico utilizzato per il trattamento superficiale di formaggio a pasta extra dura, dura e semidura per contrastare la formazione della muffa. Non si dovrebbe riscontrare a partire da
5 mm sotto la superficie del formaggio, motivo per cui spesso c’è l’indicazione “crosta non edibile”. Non di rado però la crosta è più sottile, quindi se questo conservante è stato utilizzato (dichiarazione in etichetta) è opportuno asportare anche un po’ di sottocrosta prima di consumare il prodotto. La natamicina può essere applicata per immersione dell’alimento nella soluzione disinfettante oppure a mezzo spray.

E200 E202 E203 - Sorbati

I Sorbati (E200, E202, E203) vengono impiegati principalmente come conservanti antimicrobici. In soluzione acquosa acida si dissolvono facilmente: si convertono in acido sorbico, che ha un’attività spiccata nei confronti di muffe e lieviti. Proprio per questo i sorbati vengono utilizzati per impedire lo sviluppo delle muffe sulla superficie di formaggi duri e molli e nei latticini (es. ricotta).

Ovviamente gli alimenti che vengono messi sul mercato devono essere sicuri per la salute, a volte però accettare che un prodotto possa essere imperfetto dal punto di vista estetico ci da la possibilità di diminuire la quantità di additivi che introduciamo con la nostra dieta.

Alimentazione delle bovine, igiene, filiera corta: sono i fattori che determinano la possibilità di evitare l’uso di conservanti nei formaggi. Un motivo in più per dare fiducia ai piccoli produttori che lavorano, magari a crudo, il latte dei propri animali.

Giorgia Barbaresco
Responsabile Qualità