Panettone - Immagine Storica

Il Pane accompagna la storia dell’uomo fin dal Neolitico, quando quasi in modo casuale si “inventò”. Ha nutrito e nutre il corpo e l’anima degli uomini, sempre presente nella vita e nella morte, richiama la fertilità della terra e la salute degli individui, costituendo elemento cardine dei rituali, come il Natale e la Pasqua.

E il ciclo a cavallo tra Natale ed Epifania ha rappresentato per secoli un momento cruciale del calendario agricolo, che è sempre stato l’unico vero Calendario. I giorni che vanno dal 25 dicembre al 6 gennaio rappresentano un’unica celebrazione, la più importante dell’anno. Non solo del calendario liturgico cristiano, ma anche di quello folklorico. Un’unica festa motivata dall’essere un Capodanno, in quanto comprende sia il solstizio invernale sia il primo giorno dell’anno, “un tempo denso, un tempo alto”.

Per le società arcaiche la stagione del freddo, del maltempo, del consumarsi progressivo delle scorte alimentari: un periodo davvero duro e difficile, un inverno-inferno, che si caricava di attese, di ansia, di speranza... In questo sonno della natura, stretta nella morsa invernale del freddo e del buio, tutti i riti sono incentrati su forme e oggetti che ricordano luce e calore: luminarie e fuochi cacciano il buio, il freddo, le malattie, purificano. Ecco la ragione profonda di tutte le luminarie che illuminano i nostri paesi, ecco la ragione della stella cometa.

In queste occasioni sono i dolci i principali marcatori temporali del calendario delle ricorrenze festive dell’uomo, tra di essi il panettone, il pandoro e la pinza.

Ma qual è la storia di questi dolci rituali?

Il panettone nasce nei grandi salotti dei duchi di Milano, i Visconti, ma gli Sforza furono i primi attorno al 1400 ad apprezzare questo dolce ormai famoso. Scrive Pietro Verri, grande illuminista lombardo: “Si usavano in quei giorni dei pani grandi; e si ponevano sulla mensa anitre e carni di maiale; come anche oggidì il popolo costuma di fare”. L’ingrediente principale era il frumento: il panettone non era nient’altro che una pagnotta di farina bianca, assai rara all’epoca, che accompagnava il rito del ciocco. Ma non solo nelle mense aristocratiche. Vincenzo Tanara, agronomo bolognese del ‘600, descrive il primo Pan di Natale preparato dai contadini con la poca frutta che avanzava nella dispensa: “I nostri contadini, con minor spesa impastano la farina con lievito, sale et acqua over d’acqua melata, incorporando dentro uva secca, e zucca condita in mele, aggiuntovi pepe, et ne fanno una pagnotta grossa, quale chiamano pan da Natale”. Questo pane per i contadini divenne con il passare degli anni simbolo di festa: solo in quel giorno era possibile mangiare e saziarsi di frutta e spezie.

Ogni regione elaborerà i propri pani della festa: in Veneto il Nadalin (Pandoro), in Valtellina il Panüm, in Toscana il Panforte, in Emilia Romagna il Panspeziale o Panone, nel Lazio il Pan Giallo e a seguire al Sud tutti i dolci rituali.

Ma è a Milano che si impianta la tradizione che diventerà italiana. Nella seconda metà dell’Ottocento, a Milano sono circa duecentomila i Panettoni che vengono venduti nelle grandi pasticcerie a tutte le persone abbienti. Sarà Angelo Motta a lanciare in tutta Italia il prodotto, complice anche l’evoluzione tecnologica dei forni industriali. La città prima, e poi tutta l’Italia sarà invasa da questo dolce che sarà il dolce degli italiani a Natale. Il panettone, una sorta di grande pagnotta rotonda, che diventerà poi un pane a base rotonda e alto.

Stessa sorte toccherà al Nadalin. Nell’ottobre 1894 Domenico Melegatti, fondatore dell’omonima azienda dolciaria veronese, depositò all’ufficio brevetti un dolce morbido e dal caratteristico corpo a forma di stella a otto punte: ecco il Pandoro.

Ma non dimentichiamo la pinza, pinsa, nelle sue varianti venete, trentine e friulane, dolce dell’Epifania. Un dolce di pane o di farina di mais, con o senza lievito, con tutta la frutta secca o fresca della quale si dispone, da consumare mentre si osservano con apprensione i falò rituali e il successivo movimento delle faville.

Nel giorno di Natale, i pani “sacri” diventavano i pani della festa che solo in quel giorno si potevano preparare e mangiare. Questo pane speciale segnava una distinzione dal quotidiano: i contadini ci hanno insegnato che il pane di tutti i giorni, poteva essere arricchito, con un sapore diverso, speciale e propiziatorio per uscire dall’inverno buio e tenebroso. La recente storia dell’industria dolciaria, con la sua devastante omologazione, non deve cancellare il significato profondo che questo pane speciale ha avuto per secoli e la sua estrema varietà.

Danilo Gasparini