Latteria sociale

Ci eravamo lasciati a fine ‘800, con i risultati dell’Inchiesta Jacini che testimoniava una realtà casearia padana varia, con zone di eccellenza - Lodi, Crema, Cremona - e aree di arretratezza, il Veneto anche, dove erano nate le numerose latterie sociali. Brevemente i contesti.

Nella seconda metà dell’800, soprattutto all’indomani dell’Unità d’Italia, la società contadina italiana è attraversata da una profonda crisi che ha tante ragioni: il peso demografico, la concorrenza dei mercati internazionali, la presenza e il diffondersi della pellagra soprattutto in Veneto e Lombardia, l’arrivo di alcune patologie che colpiscono le viti, la fillossera, il baco da seta, la pebrina, sommate ad annate piovose, soprattutto negli anni ‘80. E’ anche la stagione delle prime grandi ondate migratorie verso Brasile e Argentina.

A parziale sollievo di questa drammatica situazione si sviluppa un energico movimento cooperativistico, con un forte impegno anche da parte del mondo cattolico. E’ allora che nascono le banche di credito cooperativo, le casse rurali, le cooperative di acquisto e di consumo, le cooperative di lavoratori, le cucine e i forni economici, le società di mutuo soccorso.

Le latterie sociali si inseriscono in questo movimento. Il movimento era già noto in Svizzera e in Germania. In Trentino, a Cappella di Lavarone, nasce nel 1852 la prima latteria sociale, in Piemonte nel 1868 a Baveno e via a seguire, in modo quasi contagioso. Nel 1872 a Canale D’Agordo don Antonio Della Lucia fonda la prima latteria sociale del Veneto. Seguirà quella di Cison di Valmarino nel 1882, quella di Soligo nel 1883. A seguire poi Cusignana, Arcade, più tutta una serie di caseifici artigianali. Vi è un passaggio che va segnalato: dalle primitive latterie turnarie si passa alle più organizzate latterie comuni fino a quelle legalmente costituite sotto forma di cooperativa.

E i benefici della solidale istituzione si fanno subito sentire. Scriverà nel 1890 il direttore della Latteria di Cison A. Zava:

“La popolazione agricola della zona ove la Latteria estende i suoi benefici (Lago, Tovena, Mura, Gai, Rolle, Valmareno e Follina) dapprima diffidente dell’istituzione e ricalcitrante alle novità, ora si è convinta della necessità dell’istituzione stessa e dei suoi immensi vantaggi. Il latte per mezzo della latteria diventa la fonte principale e quasi sola delle loro entrate; la Latteria è il loro salvadanaio al quale ricorrono pel pagamento delle Imposte, per l’acquisto della polenta e di tutto quanto loro occorre per vivere. In questi anni di malattie nelle viti e di grandini devastatrici, guai se mancasse loro la Latteria!”.

Sembra si inneschi una sorta di circolo virtuoso. Scriverà Enore Tosi, friulano, direttore della Latteria Scuola di Piano d’Arta e autore di un fortunato manuale di caseificio (1° ed. 1905):

“Di quali miracoli è capace la potenza della cooperazione nel caseificio ce lo dimostrano, tra le altre, la più grande Latteria del Veneto, quella di Soligo, e la più grande della Lombardia, quella di Soresina.”

Sarà un’onda lunga: nel 1957 erano ancora attive nel Nord-Est 2.152 latterie sociali, diffuse soprattutto nelle aree prealpine-montane.

Al centro della questione c’era anche l’annoso problema della formazione. Le latterie sociali funzioneranno anche come presidi didattici per casari. La scienza, Louis Pasteur darà una mano, si sostituisce all’empirismo, alle pratiche consolidate… E da qui verrà piano piano costruita una sorta di tradizione. Ma sarà un processo lungo.

A mo’ d’esempio, che formaggi si fabbricavano nella premiata Latteria di Cison? Si cercavano di imitare i già noti, tanto che si elencano con il prefisso “Uso”. Quindi Uso Sbrinz, Veronese, Svedese per i magri, Stracchino quadro per i grassi. Ma non si disdegnava, a volte per solo scopo didattico per gli apprendisti casari, fabbricare Emmenthal, Gruyère, Stracchino di Gorgonzola e Cacio Cavallo. E con queste tipologie si partecipava ai primi concorsi e vincevano le prime medaglie d’oro… altro che Cheese Awards, era oro vero!

A sostegno di questa rinnovata industria anche l’editoria comincia a pubblicare i primi manuali del casaro. Uno dei più noti sarà quello del Tosi, come si diceva: la prima edizione è del 1905 di 511 pagine, la seconda del 1909 e la terza del 1918 conterà oltre 800 pagine.
Nel mentre si fondavano le grandi aziende lombarde: Galbani, Invernizzi, Cademartori, Locatelli. In Svizzera Henri (nato Heinrich) Nestlé inizia a produrre latte in polvere e l’aumentato consumo di latte in città avvia la fondazione delle grandi Centrali del Latte.

La Grande Guerra lascerà il segno: molto del bestiame, specie in Veneto, verrà requisito. Nel vicentino si arriva al 76% del patrimonio stesso. Il recupero avverrà attraverso la specializzazione delle razze. Alcune razze locali, ad esempio la Burlina, sarà destinata a sparire sostituita dalla più redditizia Pezzata nera-Olandese, come la chiamavano allora. Resisteranno la Bruno Alpina e la Grigia della Val d’Adige. Il Vicentino, il distretto di Asiago, con 267 malghe e con il caseificio didattico di Thiene si porrà all’avanguardia della ripresa. Ancora 616 le latterie di cui 361 sociali, 60 mila quintali di formaggio e 12 mila di burro.

Nella Guida gastronomica d’Italia uscita nel 1931, Vicenza e Belluno detengono il primato “gastronomico”. Ad Asiago si produce un “Formaggio pecorino stravecchio e un formaggio grasso di montagna”, di latte di vacca, noto col nome di Asiago, la cui produzione si è estesa anche alla Lombardia. A Belluno “Le malghe montane danno burro e formaggi prelibati: il burro delle latterie agordine, rinomatissimo, è largamente esportato in tutta Italia e anche all’estero: altrettanto è da dirsi per il burro di Feltre”.

Finita la guerra è con la Convenzione di Stresa, ormai dimenticata, che l’Europa casearia cerca di trovare un accordo. Era il primo giugno del 1951: sei paesi – Austria, Belgio, Francia, Italia, Olanda e Svizzera - firmano la Convenzione internazionale sull’uso delle designazioni d’origine e delle denominazioni dei formaggi.

Per l’Italia, con il DPR 5 agosto 1955, n. 667, si emanava un regolamento di applicazione e, con il DPR 30 ottobre 1955, n. 1269, si riconoscevano gli standard di produzione dei primi sei formaggi a denominazione di origine: Fontina, Gorgonzola, Grana Padano, Parmigiano Reggiano, Pecorino Romano, Pecorino Siciliano e dei primi otto con denominazione tipica: Asiago, Caciocavallo (diveniva poi Caciocavallo Silano), Fiore Sardo, Montasio, Pressato, Provolone, Ragusano e Taleggio. Toccherà la stessa sorte per il Roquefort, il Camembert, il Gruyère, il Brie, l’ Emmenthal, il Pinzgauer Bierkäse, lo Sbrinz e tanti altri. Il tutto regolamentato dai rispettivi disciplinari.

È la nascita della nuova e moderna industria casearia che incrocia marchi nazionali e prestigiosi che fanno il mercato con eccellenze regionali e locali, con formaggi artigianali quasi sartoriali.

Si susseguono i riconoscimenti europei di origine, Slow Food aggiunge i suoi, poi ci sono i De.Co. Per dirla con Leporello, servitore del Don Giovanni di Mozart - “Madamina, il catalogo è questo”: il Bitto della Valtellina, il Casolet, lo Silter della Valcamonica, il Monte Veronese, il Quartirolo Lombardo, il Bagòss di Bagolino, il Bettelmat della Valdossola, il Branzi dell’Alta Val Brembana, il Bruss delle Langhe, il Formaio Imbriago trevigiano, la Burrata delle Murge, il Cacioricotta Lucano, il Casieddu di Moliterno, il Caso di Elva, il Formaggio di fossa di Sogliano e Talamello, la Scamorza molisana, il Graukäse della Valle Aurina, il Mascarpone di Battipaglia Paglierina, i Pecorini di Filiano, il Piacintinu di Enna, il Provula di Floresta, il Casu de cabreddu, il Pirittas… Poi come frutto del bicentenario della Rivoluzione francese e del crollo del Muro di Berlino e di tanto altro viene fondata l’ONAF (Oraganizzazione Narazionale Assaggiatori Formaggi). Ci mancava!

Infine, per dirla con Alberto Grandi (Denominazione di origine inventata, Milano 2018) questa riscoperta dei formaggi locali (arriviamo tra DOP, De.C.O. - Denominazione Comunale di Origine, IGP, Presidi Slow Food, PAT… quasi a mille specialità) è strettamente legata alla razionalizzazione del settore imposta dalla Ue anche con le quote latte. Una delle risposte, a parte quella del non rispettarle, è stata quella di esaltare all’eccesso alcuni prodotti di nicchia, con piccoli numeri e volumi, ma con prezzi alti.

In qualche modo la filiera si tiene. E soprattutto la boca più che mai non sarà straca.

Danilo Gasparini
Docente di Storia dell'Agricoltura e dell'Alimentazione

Tabella - La storia del formaggio