Il termine stoccafisso ha origini controverse. Potrebbe derivare dal norvegese stokkfisk o dall’olandese antico stocvisch, che significano entrambi “pesce a bastone”, oppure dall’inglese stockfish “pesce da stoccaggio”.

Mentre il termine baccalà ha altre origini.

Leggendo quanto scrisse Olao Magno, citato da Alfredo Pelle che al baccalà ha dedicato brillanti studi: “Nelle acque dell’Islanda vi è un pesce detto merlusia che nella lingua gotica è chiamato torsh e con la voce dei Batavi (un’isola alla foce del Reno fra il Mare del Nord e la Mosa) cabbellau. Sono portati a Roma da li Spagnoli e Portoghesi e da li Spagnoli e Italiani son detti marlucz.

Per quanto possa apparire poco verosimile il merluzzo è, senz’altro, fra i prodotti decisivi della storia economica e politica dell’Europa e non solo.

Questo pesce, noto nelle tavole di quattro continenti, è stato infatti, per oltre un millennio, uno degli elementi più importanti del commercio internazionale.

Interi paesi devono a esso il loro sviluppo inclusi alcuni dissidi e controversie reciproche che hanno determinato guerre e successivi trattati di pace; intere nazioni hanno prosperato grazie a questa attività di pesca, tanto da considerarlo più importante dell’oro.

I baschi lo pescavano nel Nord Atlantico e lo commercializzavano nel Mediterraneo già dall’anno Mille e le norme della Chiesa tardomedievale, ispirate al regime alimentare monacale con il mangiare di magro, ne diffusero il consumo, facilitando la ricchezza di Bilbao.Baccalà
IL PESCE

Gadus morhua. Il nome scientifico ai più non dice nulla, ma se invece scriviamo stoccafisso ecco allora che tutto appare più chiaro.

Gadus morhua è infatti il nome latino del merluzzo, che da gennaio in poi abbandona le fredde acque del mare di Barents per scendere nelle più “tiepide” acque delle Isole Lofoten, ove si riprodurrà fino ad aprile.

Lo Skrei (o Norwegian Arctic cod) ovvero il merluzzo sessualmente maturo, dopo la cattura, nel periodo che va da gennaio ad aprile, viene lavorato e trasformato in stoccafisso (da stokk fisk, ove stokk è la denominazione in norvegese dei pali su cui i merluzzi vengono appesi ad essiccare per circa 3 mesi).

Il periodo di cattura e trasformazione è fondamentale.

Gli esemplari messi a essiccare entro febbraio sono considerati i migliori dal punto di vista organolettico, mentre quelli essiccati dopo e comunque non oltre il 23 giugno sono considerati quasi di seconda scelta.

Oltre il 23 di giugno la lavorazione cessa del tutto, poiché le temperature risultano incompatibili con un prodotto di qualità.

Il consumo è raccomandato dai dietologi per le proteine nobili (aminoacidi essenziali per la crescita di cellule e tessuti) e i grassi speciali

Un etto di merluzzo ne fornisce 17g, di baccalà 22g e di stoccafisso 63g. Il pregio nutrizionale più importante, però, si trova negli “Omega 3”, gli acidi grassi polinsaturi essenziali.

L’Italia è il maggiore importatore al mondo di stoccafisso: delle 6000 tonnellate circa prodotte ogni anno in Norvegia, ne importiamo circa il 50%.

E circa il 90% delle importazioni italiane di stoccafisso viene dalla Norvegia. Lo stoccafisso delle Lofoten, quello più ricercato dai Veneti, si divide in 20 classi di qualità, suddivise a loro volta in prima e seconda classe.

Ricordiamo, tra i migliori, il Ragno, il Westre Magro, il Westre Demi Magro, il Bremese e l'Olandese.

LA SALATURA: IL BACCALÀ

Sventrati, decapitati e privati di due terzi della loro spina dorsale, i merluzzi vengono salati.

L’assorbimento del sale marino impedisce lo sviluppo di batteri della putrefazione e nello stesso tempo permette l’insediamento di altri batteri che determinano la “conservazione” e l’afrore che gli è caratteristico.

Questa prima operazione è compiuta a bordo; a terra segue l’impilamento del merluzzo per fare uscire la salamoia e l’acqua

Spazzolato poi del sale in eccesso, è messo ad asciugare in zone climatiche favorevoli, oppure in tunnel di corrente d’aria secca e calda. Si ha così il baccalà.

L'ESSICAZIONE: LO STOCCAFISSO

Ricordate: a seccarlo non è il sole, anche perché in Norvegia ce n’è poco. Lo secca il freddo.

Ciò avviene dove la temperatura è costantemente sotto lo zero, in aria completamente priva di umidità, che provvede a disidratare completamente il merluzzo.

Il vento è compagno prezioso di questa operazione. Si ha così lo stoccafisso.

In Veneto, però, la parola stoccafisso non è usata: noi chiamiamo bacalà quello che tutto il mondo chiama stoccafisso. Virgilio Scapin parla di “eufonia”: “a so’ anda’, me ga basa’, bacala’...

MA COME ARRIVA IL BACCALÀ A VENEZIA?

Qui il racconto è un misto di verità storiche e di leggenda.

Pietro Querini, patrizio veneziano, mercante, armatore veneziano, salpa da Candia (l’odierna Creta) il 25 aprile del 1431 con una cocca che stazza 466 tonnellate.

Seguirà, come ogni anno la rotta delle Fiandre, carico di pepe, zenzero, cotone, malvasia, allume di rocca, cera, per poi tornare con stoffe, lana e stagno per l’Arsenale.

Il convoglio incrocia, al largo della Manica, una tempesta: abbandonano la nave il 17 dicembre con due scialuppe, avvistano terra il 4 gennaio 1432 e vengono salvati dai pescatori dell’isola di Røst dell’Arcipelago delle isole Lofoten, quasi all’estremo Nord della Norvegia, “in culo mundi” come scriverà nella sua relazione Ramusio.

Ma la cosa che lo incuriosisce è un’altra: gli abitanti “prendono fra l’anno innumerabili quantità di pesci, e solamente di due specie: l’una, ch’è in maggior anzi incoparabil quantità, sono chimati stocfisi, l’altra sono passare, ma di mirabile grandezza…I stocfisi seccano al vento e al sole senza sale, e perché sono pesci di poca umidità grassa, diventano duri come legno. Quando si vogliono mangiare li battono col roverso della mannara, che gli fa diventare sfilati come nervi, poi compongono butirro e specie per darli sapore: ed è grande e inestimabil mercanzia per quel mare”.

Dopo aver caricato 60 stoccafissi, raggiunto Bergen e tornato in Inghilterra arriva a Venezia nell’ottobre del 1433.

L’anno seguente, convinto che prima o poi lo stoccafisso avrebbe sfondato anche sulle terre controllate da Venezia, Querini tornò dai suoi amici di Røst per scambiare vino e spezie con stoccafisso.

A questo punto, la storia diventa leggenda. Giunto alle Lofoten, il suo spirito avventuroso lo spinse ancora più a settentrione, per conoscere quel mare sconosciuto. Sparì tra i ghiacci eterni, come un eroe delle saghe nordiche.

Diversa, per tornare a noi, fu la diffusione del pesce dopo le direttive del Concilio di Trento che, sulla base della dieta monacale, imponevano giorni di magro e giorni di grasso. Il pesce diventa simbolo della dieta monastica e quaresimale, si carica di valori penitenziali, si eleva a simbolo di una “leggerezza” gastronomica.

Chiaramente le classi agiate continuavano a mangiare trote, temoli, carpe o lucci, barbi o gamberi di fiume e le popolazioni sulle rive del mare il pescato, ma il popolo dell’entroterra trovò in quest’alimento, il baccalà, divenuto penitenziale, risoluzione alle imposizioni religiose.

Considerato cibo dei poveri, il baccalà a Vicenza diventa nel tempo una pietanza dei ricchi perché la cottura “alla vicentina” trasforma “il volgarissimo, legnoso, arido e poco gustoso stoccafisso in un cibo delicatissimo, morbido, profumato e ricco d’infiniti sapori”.“Ma per ottenere sì miracolosa trasformazione – scriverà un anonimo gastronomo vicentino degli anni trenta - occorrono molti e costosi condimenti […] così che il “il cibo dei poveri” finisce per diventare accessibile soltanto a chi possa pagarlo degnamente”.

Così è andata la storia fino alla fondazione della Confraternita del bacalà nata a Sandrigo nel 1987, voluta dall’Avv. Benetazzo circa 30 anni or sono.

Senza considerare la profonda attività di sviluppo della conoscenza del prodotto che diverse Confraternite, in campo nazionale, fanno con serate, conferenze, manifestazioni, sagre, festival.

Danilo Gasparini
Docente di Storia dell'Agricoltura e dell'Alimentazione