Primo piano salame

“Paese che vai, salame che trovi”. Mi verrebbe da esordire così pensando al salame, un semplice salume che ogni regione, provincia e paese ha sviluppato secondo un proprio credo o, più banalmente, secondo la disponibilità di materia prima. Questa estrema frammentazione genera spesso dibattiti su quale sia il salame più buono. Chi non si è mai trovato a doversi schierare per il salame morbido o per il salame duro? Per la versione con aglio o quella senza? Il dibattito è aperto!

Abbiamo immaginato di compiere un viaggio da Nord a Sud, toccando diverse realtà produttive, cogliendone le principali peculiarità e cercando di capire come le diverse latitudini, dominazioni e abitudini abbiano influito nei secoli sulle produzioni.

Partiamo dalla Valsugana, con il Salame di Meggio, insaccato in budello naturale, stagionato almeno 30 giorni e figlio di una tradizione rustica e montanara che vuole l’aglio come protagonista. Presenta una grana sottile, magra, ma solubile e dolce al palato, senza riporti di acidità anche in virtù del buon periodo di asciugatura.

Ci trasferiamo a Spilimbergo in Friuli Venezia Giulia con il Salame Lovison, più grasso e giovane rispetto al precedente, con le tipiche caratteristiche del salame nord-est: morbido ed estremamente fresco. Tradizionalmente veniva prodotto in prossimità del Natale per essere consumato durante le prime festività, a pochissimi giorni dalla produzione. Il clima rigido e il sale aiutavano a conservare il prodotto per un limitato periodo di tempo.

Lasciamo il Friuli per avvicinarci a un’identità poco conosciuta, prodotta da Grossetti, il Salame Piacentino DOP. I salumi piacentini, già noti negli stati limitrofi al Ducato di Piacenza all’inizio del XV secolo, erano i preferiti dai negozianti di Milano. A inizio ‘700 fecero breccia negli ambienti elitari di Francia e Spagna, per merito di un noto cardinale piacentino che li portava in dono nei suoi viaggi come gustoso biglietto da visita. A spiegazione di come una parte di gastronomia si sia affermata negli ambienti aristocratici, prima che popolari. Il salame di Grossetti ha una grana media, con pochi di lardelli di grasso ben distinti. Il profumo di carne matura e la leggera speziatura anticipano un sapore dolce, persistente e mai troppo speziato.

Viene ora automatico pensare a come sia quasi obbligatorio ricercare dolcezza in un salame, ma in Toscana non la pensano così. Quando assaggiamo il Salame Toscano di Marini l’intensità della concia, l’elevata magrezza della carne e la netta distinzione dei lardelli ci fanno apprezzare l’intensità e la sapidità, date anche dalla presenza di vino Chianti nell’impasto. Da non dimenticare, inoltre, il rapporto unico tra pane e salumi: la sapidità dell’insaccato fa da contraltare al pane sciapo.

Mano a mano che scendiamo verso sud ci imbattiamo in salami, schiacciate, spianate, dalle carni più compatte e dai sapori più aromatici o piccanti. Le influenze arabe e un clima decisamente poco amichevole per la produzione di salami hanno imposto conce più decise a protezione delle carni. Incontriamo in ogni caso due prodotti dolci, seppur in modo diverso.

Il Salame Casereccio della Murgia di Santoro, in Puglia, ha un sapore dolce e ben bilanciato, che deriva dall’equilibrio tra le carni di maiali maturi allevati allo stato brado e la concia, caratterizzata dalla presenza di vincotto. Infine, una leggera nota affumicata propria anche del più conosciuto Capocollo di Martina Franca.

Il Salame di Suino Nero dei Nebrodi di Luisa e Agostino Ninone, in Sicilia, ha una dolcezza e una solubilità che provengono principalmente dalla pregiata carne di maiale nero, allevato per almeno 2 anni allo stato brado. La decisa presenza di pepe in grani e i netti lardelli completano un sapore unico.

Eccoci quindi giunti al termine di questo percorso tra i salami d’Italia. La varietà è enorme e si possono soddisfare davvero tutti i gusti, sperando che anche voi abbiate trovato il vostro preferito!


Alessandro De Conto