Pace. E’ questa la sensazione che ritrovo ogni volta che mi capita di visitare un alpeggio, per un’intervista o per una gita fuori porta. Il verde sfacciato dell’erba, il silenzio scandito dallo scampanellio degli animali al pascolo, il profumo dei fiori (e non solo). Pace, riconciliazione con la natura.Vita in Malga Mariech
Sempre più spesso mi capita di incontrare persone che scelgono di lasciare tutto per vivere in alpeggio.

E ogni volta mi capita di chiedermi perchè, come è possibile rinunciare alle comodità a cui siamo abituati per “ritirarsi” a vivere in malga: una vita di sacrifici, fatta di giornate che iniziano prima del sorgere del sole, di lavoro duro all’aperto indipendentemente dalle previsioni meteo, di abitazioni spartane.

Indimenticabile la visita ai “calecc”, dove nasce lo Storico Ribelle: quattro mura dove viene montata una tenda, man mano che uomini e animali si spostano sui pascoli più alti, con l’avanzare dell’estateCalècc  - Storico Ribelle
Forse è proprio questo ritorno alla natura, a una condizione ancestrale, a sentirsi parte del tutto che spinge uomini e donne a lasciare la vita che conosciamo per vivere in montagna.

Alla presentazione del Giornale di Agricoltura & Gastronomia della Biblioteca Internazionale La Vigna di Vicenza, un paio d’anni fa, sono rimasta senza parole dalla storia di Marta Zampieri, ex ingegnere idraulico di Motta di Livenza, papà dirigente d’azienda, mamma insegnante di lettere, nessun legame con la montagna se non le vacanze da bambina con la nonna a Fiera di Primiero.

Eppure decide di cambiare vita e oggi gestisce l’agriturismo Pian de Levina, a 1.200 metri, dove alleva capre da lana, produce formaggi, cucina.  

Lo stesso spirito imprenditoriale che ritrovo in Milady Cortese, a Malga Verde, sull’Altopiano di Asiago. Anche lei lascia un lavoro da impiegata per tornare in alpeggio ad aiutare il papà:

“Dopo cinque anni mi ero stancata, il lavoro era ripetitivo, mi mancava il contatto con le persone e con la natura”

E come Pian di Levina, anche Malga Verde è un’attività multifunzionale, che coniuga l’allevamento con la produzione dei formaggi e l’accoglienza.

Così come Malga Mariech, un’altra realtà con una bella storia da raccontare, quella di Fabio Curto: una laurea in Medicina Veterinaria che si innesta sull’esperienza di papà Italo.

Perchè, ci dice Fabio, “l’innovazione di ieri è la tradizione di oggi”.

Assieme gestiscono l’allevamento di Brune nell’azienda agricola a Vidor (con una delle stalle più all’avanguardia in Europa, completamente robotizzata) e in Malga Mariech d’estate, il caseificio, l’agriturismo.

Non solo sogni ma visione, non solo impegno, ma capacità imprenditoriale. 

“Kill Heidi” è il libro suggerito da Marta Zampieri: “In montagna le caprette non ti fanno ciao, devi essere creativo e affrontare i problemi in modo veloce”

Mungitura
Dopo anni di sostanziale disinteresse, anche il legislatore ha finalmente preso coscienza del valore sociale e ambientale del sistema degli alpeggi e del ruolo dei malgari come custodi del territorio, di “saperi” e tradizioni locali.

Finalmente si iniziano a distinguere piani di sviluppo rurale per la pianura e per la montagna, realtà completamente diverse.

Nel Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia, D.g.r. 4 febbraio 2019 n. XI/1209 si legge:

La Regione riconosce la funzione ambientale e socioeconomica delle malghe, “che costituiscono un bene di interesse collettivo, il cui corretto utilizzo concorre a garantire la conservazione della biodiversità, dei paesaggi e dell’assetto idrogeologico territoriale della montagna”. Il presidio degli alpeggi consente infatti di arginare la progressiva trasformazione paesaggistica, che porta alla graduale scomparsa dei pascoli, a causa dell’espansione del bosco.

E favorisce la reintroduzione di razze locali, in particolare la Bruna o altre razze a rischio di estinzione, custodi di biodiversità genetica, più adatte ai pascoli montani. 

Nelle “Linee guida per la gestione delle malghe e l’esercizio dell’attività di alpeggio” allegate si identificano alcune direzioni di sviluppo, che rispondono alla necessità di coniugare la conservazione delle risorse naturali con la continuità e lo sviluppo delle attività tradizionali, in modo tale da poter generare un reddito adeguato.

La multifunzionalità in primis, affiancando alla produzione casearia tradizionale anche l’attività di accoglienza, facendo rete con una pluralità di attori pubblici e privati.

Ma anche la conservazione del patrimonio naturalistico e paesaggistico, strettamente legata alla capacità di sviluppare attrattività turistica.

E’ confortante ritrovare finalmente in un documento legislativo alcuni valori in cui crediamo da sempre.

Da sempre cerchiamo di valorizzare e promuovere i formaggi di alpeggio, in primis per le qualità organolettiche distintive e la capacità di raccontare il territorio da cui provengono, soprattutto se a latte crudo

Negli anni abbiamo scoperto che il latte di alpeggio ha un valore nutrizionale più elevato: una ricerca condotta dal Gruppo Formaggi Trentini qualche anno fa ha evidenziato che il latte di alpeggio contiene una maggiore quantità di lipidi, una migliore qualità dei lipidi presenti (Cla, Ala, Acidi grassi insaturi), un maggior contenuto in sostanze antiossidanti (vitamine liposolubili, vitamina E, polifenoli e carotenoidi) e un maggior contenuto di composti in grado di conferire aromi (terpeni, carotenoidi, costituenti volatili aromatici degli acidi grassi).

Ora aggiungiamo un altro tassello, una motivazione in più.

Scegliere un formaggio di alpeggio è anche un modo per aiutare l’ambiente

E’ uno dei risultati della ricerca “Buoni per il pianeta, buoni per la nostra salute”, realizzata da Slow Food con il supporto scientifico di Indaco2, spin-off dell’Università di Siena. 

Buoni per il pianeta, buoni per la nostra salute - Slow Food

Sono state misurate le emissioni di anidride carbonica equivalente, espressa in kg (CO2 eq) di 6 filiere di produzione di Presìdi Slow Food, confrontandole con equivalenti sistemi industrializzati.

Alimentazione al pascolo, autoproduzione di fieno, fertilizzazione naturale, lavorazione artigianale: sono tutti fattori che concorrono alla riduzione dell’impatto ambientale delle piccole produzioni, che rilasciano in media il 30% in meno di anidride carbonica, con punte fino a meno 80%

Va inoltre considerato che gli allevamenti estensivi, che prevedono ampie superfici coperte da terreni ricchi di vegetazione, assorbono carbonio in misura uguale o superiore a quello emesso in atmosfera durante i processi produttivi.

Un esempio? L’anidride carbonica emessa per produrre una forma da 2 kg di Macagn (Presìdio Slow Food) risulta essere pari a 3 kg contro i 17,68 kg di CO2 eq di un formaggio industriale. Il risparmio annuo stimato è pari a 1.035 tonnellate di CO2 eq, corrispondente alle emissioni di un’auto che percorre 154.100 km!

Chapau quindi a questi ragazzi che hanno saputo reinventare la tradizione, non ripetere inconsapevolmente gesti millenari ma sfruttare nuove competenze e tecnologie per far rivivere la montagna. A beneficio del nostro palato, del paesaggio e dell’ambiente.Malga Mariech

Martina Iseppon
Responsabile Marketing