Prato
"No ghe xe erba che varda in su che no gabia la so virtù"


Da millenni l’uomo ha raccolto, addomesticato, usato l’universo vegetale per soddisfare i propri bisogni, alimentari, sanitari e magici.

Le piante sono state le prime medicine comparse sulla terra, le uniche usate dai nostri antenati ed hanno rappresentato e rappresentano tuttora il primo grande laboratorio vegetale che esiste sulla terra: la medicina della natura. Oggi assistiamo ad un gran ritorno di questa antica sapienza che, lo diciamo subito, è stata per millenni tipicamente femminile.

Si racconta che in qualche sepoltura dell’uomo di Neanderthal, vissuto sessantamila anni fa, gli archeologi abbiano rinvenuto pollini di piante con virtù terapeutiche, ad esempio Achillea, Altea, Centaurea e Malvone. Senza contare l’impiego che ne facevano gli Egiziani, l’uso delle erbe è stato una delle prerogative della cucina greca antica. Vi ritroviamo il mirto, caro ad Afrodite, il lauro apollineo, il timo sacrificale, l’odorosa maggiorana, il carvi dei prati, il sedano afrodisiaco, il digestivo finocchio, i semi di papavero. Mancavano invece dalle tavole greche il prezzemolo ed il basilico, usati per scopi ornamentali e per scacciare gli insetti.

A leggere Plinio il Vecchio, la sua Historia naturalis, si resta stupiti dalla grande varietà di piante, erbaggi nota, e così Columella, Catone e tutti gli altri rei rusticae scriptores. I Romani incoronavano con rosmarino le statuette dei Lari, protettori della casa. Già in Cina, nel 2700 a.C., narra la leggenda, che un imperatore abbia redatto un grande erbario, e, per tale opera si meritò il nome di “Agricoltore Celeste”.

Anche i Maya si avvalevano dell’uso di piante medicinali che venivano classificate secondo le loro virtù terapeutiche.

I monaci benedettini dedicarono particolare cura ed attenzione al trattamento fitoterapico di malattie, alla produzione di distillati e bevande. “L’Orto dei semplici” era un’area, all’interno del monastero, deputata alla cura e alla coltivazione delle erbe officinali (il medicamentum simplex medioevale era un’erba medicinale o un medicamento fatto con erba). Le erbe o piante medicinali sono anche chiamate officinali, intendendo con questo nome tutte quelle piante o erbe che possono essere usate a scopo fitoterapico, liquoristico, profumiero e cosmetico. Il termine erbe officinali deriva da “officina”, così nel medioevo era chiamato il laboratorio farmaceutico dove lavorava lo speziale, l’attuale farmacista. Una singola pianta o erba medicinale era chiamata “semplice” e rappresentava un medicamentum simplex mentre un medicamentum compositum si otteneva associando più semplici. I Cistercensi, nella loro regola, proibivano l’impiego di pepe, cumino e altre spezie ma ordinavano che si facesse uso “delle erbe comuni che produce la nostra terra”.

A partire dal Trecento compaiono i primi grandi erbari, assieme ai Theatrum Sanitatis, straordinari compendi miniati della scienza medica del tempo. Uno sforzo classificatorio che porterà, una volta inventata la stampa, ai primi grandi erbari, da quello tedesco di Leonhart Fuchs (1501-1566) a quelli italiani di Pietro Andrea Mattioli (1500-1577) e Castore Durante (1529-1590).

Nello sforzo classificatorio viene sviluppata anche la Dottrina dei Segni, poi elaborata nel XVI secolo; le caratteristiche di una pianta dovevano permettere la possibilità di dedurne le sue proprietà. Così ad esempio se una pianta era fatta a forma di coda di scorpione doveva essere utile per curare i morsi di questo animale o se le foglie della Polmonaria presentavano delle chiazze rotonde simili agli alveoli dei polmoni, la pianta serviva di sicuro per curare le malattie polmonari. Affascinante tutto ciò e anche con principi di verità.

Sono molti gli esemplari di erbari che ci restano. Ad esempio l’erbario del naturalista bolognese Ulisse Aldrovandi, uno dei più antichi giunti sino ai nostri giorni, e senz’altro uno dei più ampi del suo tempo: arrivò a comprendere più di 5.000 campioni suddivisi in 15 volumi rilegati.

A Parigi è conservato un erbario con 7.200.000 esemplari, a Leningrado e Ginevra vi sono due erbari con 5 milioni di piante e in Inghilterra, i Giardini reali botanici ne posseggono uno da 4 a 5 milioni. Infatti, dal XVII secolo, le erbe rare e le nuove varietà provenienti da tutto il mondo venivano studiate e coltivate nei giardini botanici di tutt’Europa e si iniziavano a fondare archivi ed erbari.

Ma a noi interessa anche la cultura popolare dove medicina (fitoterapia attraverso infusi e decotti) e cucina (fitoalimurgia) si sono combinate e contaminate.

Per secoli andare a “erbe” per prati e boschi non è stato un passatempo, un’attività di nostalgia neo-ruralista, naturalista, ambientalista o alla moda. E’ stato invece un modo per arricchire un pacchetto alimentare povero. E il lessico dialettale è sontuoso: pan e vin (acetosella), ai de can (aglio orsino), barba di becco, erba canona o barba di capra, buon Enrico o skraut, carlina, coa de caval (equiseto), pisacan (tarassaco), grespondol (raponzolo), rustegot (pungitopo), sciopet, carleti, tajadee dea madona (silene) e peche de oca… con annessi usi sanitari e culinari.

Figure strane di guaritori ma anche prassi diffuse, con annesso uno stuolo di santi dedicati. Ogni pianta quindi spesso e volentieri aveva un doppio uso. L’ai de can, l’aglio orsino: le foglie verdi, ben fresche, vengono impiegate assieme a prezzemolo e salvia per condire le patate lessate. Agisce come antisettico, ipotensivo, coleretico, vermifugo, espettorante. La barba di becco, aio de prà, barbaboch, barba di prete: giovani germogli, foglie e radici si consumano cotti come gli spinaci. Le foglie si possono consumare anche in insalate, minestre e frittate. Proprietà: diuretiche e stomachiche. Il luppolo, bruscandoi: i germogli primaverili si consumano lessati e conditi come gli asparagi, per preparare risotti, minestre, frittate. Le infiorescenze femminili sono utilizzate per aromatizzare la birra preparata in modo casalingo. Proprietà: aromatiche, amaro-toniche, diuretiche, lassative, sedative.

Davvero potremmo continuare… ma de hoc satis. Chiudiamo ricordando: per ogni malora erba dentro o fora!

Danilo Gasparini