capocollo

Vi è mai capitato di chiedere due etti di Ossocollo ad un salumiere piacentino? Oppure un etto di Lonza ad un pizzicagnolo pugliese? In entrambi in casi la reazione dietro al banco sarebbe probabilmente la stessa: disorientamento.

La coppa, o capocollo, o lonza, oppure ossocollo, o scamerita, o finocchiata, sono il medesimo prodotto, ricavato dallo stesso taglio anatomico situato tra la testa e la spalla del maiale, ma realizzato in regioni diverse. Alcuni sostengono che il capocollo si ricavi dalla coppa rifilata, ma non ci soffermeremo oltre su questa disputa.

Eh sì, ancora una volta ci troviamo di fronte a un caso frequente nel mondo delle carni: lo stesso taglio ha nomi diversi a seconda della regione o provincia in cui ci troviamo e questo perchè il maiale si è intrecciato alla storia di ogni uomo da oltre 10.000 anni e nel tempo alcuni tagli macellati hanno assunto denominazioni dialettali, figlie di linguaggi e idiomi diversi, legate alla posizione anatomica o all’utilizzo in cucina.

Attraverseremo l’Italia da Nord a Sud, scandagliando i diversi modi di produrre e interpretare questo insaccato; ci soffermeremo su aspetti prevalentemente geografici, senza scordare come ogni prodotto non sia solo figlio di un territorio, ma anche di un uomo che lo produce.
Pronti? Via!

L’Ossocollo Lovison di Spilimbergo (PN) si contraddistingue per la sua dimensione importante, legata alla macellazione di maiali molto maturi e a una stagionatura non troppo spinta. Il sapore è dolce ed equilibrato, senza spezie prevalenti. Da segnalare l’assenza di conservanti.

Muovendoci ora in direzione Val d’Aosta, per la precisione ad Arnad (AO) incontriamo la Coppa al Ginepro di Bertolin, figlia di una cultura contadina di montagna che, spesso isolata per il rifornimento delle materie prime, utilizza i prodotti del territorio, come la bacca di ginepro. La coppa riposa per 45 giorni nel ginepro e poi completa la stagionatura fino almeno ai 5 mesi. Profumatissima e dolce.

Cominciando ora a scendere verso meridione facciamo tappa a Strà di Nibbiano, nel piacentino, nella patria del salume italiano, l’Emilia Romagna. Non servirebbe dire che il prodotto in questione è la Coppa Piacentina Dop di Antonio Grossetti, che avvolta dalle nebbie padane matura per almeno 6 mesi da disciplinare e si ricopre di un prezioso velo di nobili muffe che la rendono maggiormente profumata. Il sapore è comunque delicato e dolce.

Attraversando poi la Toscana (dove avremmo trovato la Scamarita), il Lazio (lì si parla di Lonza) e così via fino alla Puglia, ci imbattiamo in due espressioni diverse: il Capocollo di Martina Franca di Giuseppe Santoro e il Capocollo Fattibene dei Monti Dauni (FG), entrambi stagionati circa 90 giorni e figli di una tradizione antica, che prevede un passaggio nel vincotto per aromatizzare le carni ancora fresche. Un paio le differenze: il Capocollo di Martina Franca è leggermente affumicato, mentre il pari grado di Fattibene è prodotto in assenza di conservanti. Il profilo aromatico di entrambi denota dolcezza, note di frutta tostata e vincotto.

Giunti al termine di questo breve giro siamo sicuri che ora saprete di certo cosa chiedere ai salumieri d’Italia per ottenere due etti di... Coppa!

Alessandro De Conto
Responsabile Estero