Utilizzata fin dalla notte dei tempi, la cera d’api sta ritornando in auge, dopo essere stata usata per secoli come involucro per l’affinamento e la conservazione di tante delizie 
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Prima che gli uomini elaborassero tecniche di conservazione degli alimenti funzionali, le api c’erano già arrivate. Per poter conservare al meglio il loro miele, questi ingegnosi insetti hanno “inventato” la cera, prodotto di secrezione delle ghiandole ceripare delle api operaie, poste nella parte ventrale del loro addome.

Questo piccolo contenitore esagonale, chiamato favo, è un meraviglioso agglomerato di migliaia di cellette costruite perfettamente dalle api per le loro necessità alimentari e produttive: può contenere infatti il miele, il polline e le loro larve.

PERCHÈ LA CERA
La cera d’api crea un rivestimento naturale che protegge gli alimenti dopo il periodo della stagionatura, evitando la formazione di muffe o lo sviluppo di odori e sapori sgradevoli, come può accadere con il sottovuoto.

Inoltre, è una sostanza chimicamente stabile, che resiste all’idrolisi e all’ossidazione e non si scioglie in acqua. Resiste al freddo e si liquefa al di sopra dei 62°C. Vantaggiosa anche per i lunghi trasporti perché non incide in nessun modo sul prodotto conservato, né altera la composizione chimico-fisica e organolettica del prodotto al suo interno.

La cera d’api rende possibile e favorisce il fenomeno della traspirazione, alla stregua dell’epidermide, del legno e del guscio d’uovo. La protezione della cera poi evita il rapido essiccamento del prodotto, garantendo la possibilità di fare scorte.

LE ORIGINI
L’uso della cera d’api è attestato dalla fine del VI millennio a.C., troverà larga applicazione nell’antico Egitto per l’imbalsamazione, ma bisognerà aspettare il Medioevo per scoprire che era in grado di conservare, trasportare e mantenere salumi e formaggi morbidi e freschi fino a 12 mesi dall’inceratura.

La cera poi, affinando i prodotti, migliorava il gusto con sentori dolci e floreali e se, casualmente, veniva ingerita non aveva controindicazioni. Secondo la Medicina Tradizionale Cinese rappresentava anzi un rimedio. Il medico Zhang Zhongjing vissuto nel I secolo d.C. sosteneva che l’odore denso del miele nutriva la milza, quello della cera, sottile, nutriva lo stomaco; per questo usava prescrivere una zuppa di colla e cera per curare diversi problemi intestinali.

Nel corso del tempo l’industria alimentare ha sostituito l’uso della cera d’api con prodotti di sintesi: plastiche, paraffine, alluminio e mille altre sostanze contaminanti per l’ambiente e non così salubri per gli alimenti. Per fortuna oggi si assiste a un recupero da parte di alcuni produttori illuminati di questo prodotto sicuro, ecologico e biodegradabile a impatto ambientale zero, decisamente sostenibile

LA CERA OGGI
Oggi la cera d’api rappresenta un additivo alimentare autorizzato nell’Unione Europea (E901). Solitamente si utilizza la cera d’api bianca o Alba (E901i), sbiancata con una forte luce solare o perossido di idrogeno o la cera d’api Flava di colore giallastro o grigio-marrone, con sentori balsamici e/o di miele (E901ii). Possono essere utilizzate come rivestimento protettivo e lucidante, ma anche come aromatizzante.

Non è semplice rintracciare le origini dell’uso della cera d’api come involucro e conservante nel corso dei millenni, ma è certo che venisse utilizzata per proteggere durante il trasporto alcuni tra i cibi più pregiati. Vediamone alcuni.Formaggio Cera d'Api
I FORMAGGI
L’utilizzo della cera d’api nel rivestimento dei formaggi non consentiva solo la protezione contro la contaminazione e lo sviluppo di microrganismi, ma migliorava anche il sapore e l’aspetto visivo del prodotto.

Come ad esempio per l’Edam Holland IGP, un formaggio a pasta semi dura olandese dalla città di Edam, dalla caratteristica forma sferica. In origine, nel XIV secolo,  pare avesse un rivestimento in cera d’api colorata naturalmente per proteggerlo dalla luce (causa di muffe), ma anche per distinguere le diverse tipologie o destinazioni, considerato che già in epoca coloniale veniva esportato dalle Filippine al Messico.

La cera serviva a protegge il formaggio dall’essiccazione e dalla muffa, a mantenerlo extra morbido oltre ad aromatizzarlo al profumo di api, venne sostituita in epoca moderna con la paraffina, inaugurando la stagione industriale seguita da altri formaggi come il Mobo danese o il celebre Mini Babybel®, oggi commercializzato in 76 Paesi dei cinque continenti.Bottarga Cera d'Api
LA BOTTARGA
Mentre si discute ancora se la bottarga sia un prodotto “inventato” dagli antichi greci o dagli arabi, che la diffusero nel bacino del Mediterraneo fino all’Andalusia con il nome di butarhah’, è cosa certa che sia arrivata fino in Asia per mano dei Portoghesi che la intodussero a Taiwan, dove ancora oggi rappresenta un vanto locale con il nome di wūyúzǐ.

Pare che l’idea di rivestire la bottarga di uno strato di cera neutra per evitarne l’essiccazione fosse venuta proprio a loro. Anche in questo caso però la cera lasciò il posto alla paraffina, tranne che nelle migliori produzioni giapponesi karasumi. Introdotta in Giappone dalla Cina in epoca Ming, si trovano testimonianze della sua produzione, prima con uova di triglia e sgombro, poi di muggine, nella prefettura di Nagasaki, a partire dal 1675, spesso con copertura di cera d’api.Pastirma Cera d'Api
IL PASTIRMA
Diffuso dalla Turchia all’Egitto passando per Armenia, Azerbaijan e Grecia, con nomi diversi: Pastirma, Basturma, o Pastarma, prima di arrivare negli Stati Uniti con una ricetta e denominazione modificata (Pastrami) con la diaspora ebraica, anche questo popolare insaccato di carni bovine ricoperto di spezie veniva talvolta protetto e conservato nella cera d’api, mescolata con olio e/o grasso animale.

Era questo un escamotage per mantenere morbide le carni e per permettere all’impasto di çemen, a base di paprika, fieno greco e aglio, di aromatizzarlo. Ma ahimè, anche in questo caso, con il tempo e l’industrializzazione dei processi produttivi, la paraffina e le plastiche hanno preso il posto di un prodotto naturale.

Vittorio Castellani
Giornalista 'gastronomade'